Gli amministratori hanno il dovere di evitare situazioni in cui abbiano interessi in conflitto con quelli della società, come previsto dalla sez. 175 del Companies Act del 2006.
La norma richiamata infatti stabilisce che gli amministratori non devono porsi in una situazione in cui i loro interessi siano in conflitto con quelli della società e non devono trarre vantaggi a spese della stessa o utilizzare i suoi asset per realizzare profitti personali.
Prima dell’entrata in vigore del Companies Act del 2006, gli amministratori non si liberavano del summenzionato dovere con la presentazione delle dimissioni. Anche in quest’ultimo caso, infatti, potevano essere ritenuti responsabili e chiamati a giustificare eventuali profitti ottenuti.
Di regola, la responsabilità sussisteva solo quando vi era un nesso di causalità tra le dimissioni dalla carica di amministratore e l’intenzione di sfruttare personalmente un’opportunità di business di cui lo stesso amministratore era venuto a conoscenza durante la carica rivestita.
Dunque, si prestava attenzione, al fine di accertare la responsabilità, ai comportamenti posti in essere prima o al momento delle dimissioni; nessun rilievo avevano invece quelli successivi.
L’entrata in vigore del Companies Act del 2006 ha codificato i vari doveri degli amministratori. La previsione concernente l’obbligo degli ex amministratori di evitare situazioni di conflitto di interesse è racchiusa ora nella sez. 170(2)(a) e recita: “Una persona che cessa di essere un amministratore continua ad essere soggetta: (a) all’obbligo di cui all’articolo 175 (obbligo di evitare conflitti di interesse) per quanto riguarda lo sfruttamento di qualsiasi proprietà, informazione o opportunità di cui sia venuto a conoscenza in un momento in cui era un amministratore, e (b) […] tali doveri sorgono in capo sia a un ex amministratore sia a un amministratore ancora in carica, fatte salve eventuali successive previsioni.”
La formulazione dell’articolo richiamato è stata oggetto di attenzione da parte della High Court nella recente sentenza Alan Burnell c. Trans-Tag Limited, da ora caso Burnell. La vicenda del caso è particolarmente complicata e concerneva il fallimento della società Trans-Tag Limited. Si trattava, tra l’altro, di un amministratore di fatto che, avendo cessato di ricoprire la carica all’interno della società, si era successivamente messo in condizione di poter esercitare alcuni diritti della società in virtù di un contratto di licenza di cui era venuto a conoscenza quando rivestiva la carica.
La Corte ha ritenuto che le dimissioni non erano state dettate o influenzate dal desiderio di sfruttare la proprietà, le informazioni o le opportunità della società.
Punto fondamentale era capire se la sezione 170(2)(a) avesse apportato una modifica alla disciplina previgente al punto da considerare oggi rilevante anche la condotta posta in essere dall’amministratore dopo le dimissioni.
Come ricordato, prima del 2006 la giurisprudenza riteneva che il comportamento di un amministratore dopo la cessazione dall’incarico non costituiva di per sé una violazione dei doveri: qualsiasi pretesa doveva fondarsi sull’operato dell’amministratore prima o al momento della cessazione della carica di amministratore.
Si riteneva dunque che il dovere fiduciario non potesse sopravvivere alla fine del rapporto di lavoro.
Il comportamento successivo alla cessazione dalla carica poteva essere rilevante solo qualora le dimissioni dell’amministratore fossero state causate o influenzate dalla volontà di acquisire una concreta opportunità di affari per il raggiungimento di interessi personali.
La formulazione nella sezione 170 (2) (a), tuttavia, afferma che l’amministratore continua ad essere soggetto all’obbligo dell’articolo 175 in relazione allo sfruttamento di proprietà, informazioni o opportunità di cui è venuto a conoscenza durante la carica. Come affermato in Burnell, ciò implica che la condotta di un amministratore dopo le dimissioni dalla carica può dar luogo a una violazione del dovere di non creare situazione di conflitto di interesse e che non è necessario che le dimissioni di un amministratore siano state causate o influenzate dall’intenzione di sfruttare un’opportunità. Se un ex amministratore si pone nella condizione di ottenere un vantaggio che derivi da situazioni di cui sia venuto a conoscenza durante la carica per ciò solo può configurarsi una violazione dei doveri, contrariamente alla precedente giurisprudenza. Si ritiene dunque vi sia stato un cambiamento rispetto all’interpretazione giurisprudenziale precedente al 2006.
L’interpretazione dell’art. 270, n. 2, lett. a), così come viene in rilievo nella causa Burnell, comporta un’estensione dell’obbligo per gli amministratori di non trarre vantaggio da situazioni in conflitto di interessi con quelli della società.
Gli ex amministratori che assumono incarichi in aziende concorrenti devono pertanto prestare attenzione a come utilizzano le informazioni e le opportunità di cui sono venuti a conoscenza nei loro precedenti ruoli. Inoltre, la sentenza mette in luce che la sez. 175 fa riferimento allo sfruttamento di “qualsiasi proprietà, informazione o opportunità” di cui l’amministratore sia venuto a conoscenza mentre era amministratore, e che questa frase è stata interpretata in modo restrittivo dai giudici. In particolare, ciò doveva essere inteso nel senso di sfruttamento di un’opportunità di business in via di maturazione, non ancora concreta.