Regno Unito: test e i vaccini nei luoghi di lavoro

Lo scorso marzo, il governo ha fatto sapere che circa 50.000 aziende si sono registrate per i lateral flow test tramite lo schema predisposto e finanziato dal governo. Questo consentirà ai datori di lavoro di sottoporre regolarmente al test per il Covid-19 i propri dipendenti, al fine di contrastare la diffusione del virus nei luoghi di lavoro. Sebbene non sia più possibile registrarsi per questo schema governativo, i datori di lavoro possono comunque rivolgersi ad aziende private o chiedere ai dipendenti di verificare se hanno la possibilità di ricevere il lateral flow test attraverso altri schemi governativi.

I lateral flow test sono usati per testare coloro che pur non avendo alcun sintomo potrebbero comunque trasmettere il Covid. Se utilizzato regolarmente, due volte a settimana, questo test è al 99,9% affidabile. Consiste in un tampone alla gola e al naso che sarà poi inserito in una soluzione presente nel kit. Una piccola goccia della soluzione deve essere versata su un foglio che mostrerà se il soggetto ha il virus oppure no. Il risultato, che sarà visibile entro 30 minuti, dovrà poi essere inviato tramite un’applicazione al Public Health England.

I datori di lavoro possono chiedere ai dipendenti di sottoporsi al test, su base volontaria, ma è chiaro che questi saranno realmente efficaci solo se tutti i dipendenti si sottoporranno al test e lo eseguiranno due volte a settimana. Molti datori di lavoro stanno valutando anche la possibilità di introdurre dei test obbligatori. Prima di decidere se rendere obbligatorio il test per i dipendenti, è necessario che i datori di lavoro valutino attentamente diversi punti, ad esempio decidano se è opportuno fare i testi nei luoghi di lavoro o in strutture esterne. Inoltre, si consiglia di coinvolgere in questo processo decisionale anche i dipendenti e le rappresentanze sindacali.

Si tenga in considerazione che se i datori di lavoro dovessero scegliere di sottoporre i dipendenti al test fuori dal luogo di lavoro questo comporterà da un lato meno oneri a loro carico ma al tempo stesso meno controlli sulla procedura.

I punti che dovrebbero essere valutati prima di decidere in che direzione muoversi sono i seguenti:

  • Testing Site – È necessario innanzitutto individuare il luogo in cui effettuare i test. Deve trattarsi di uno spazio dove vi è un buon riciclo di aria, quindi dotato di finestre. Dal momento che il risultato del test dovrà essere inviato al Public Health England tramite una applicazione è necessario che nel luogo individuato vi sia una buona connessione a internet.
  • Designated Officer – i datori di lavoro devono individuare un soggetto incaricato di supervisionare il programma e di occuparsi degli adempimenti in materia di privacy e dei corsi di formazione. In alternativa, è anche possibile che l’interno programma si svolga all’interno dell’azienda ma sia gestito da società esterne.
  • Data protection – i datori di lavoro devono garantire che tutti i dati siano conservati nel rispetto della normativa in materia di privacy. Inoltre, è probabile che tutte le policy sulla privacy dovranno essere aggiornate (o dovranno essere stese delle nuove conformi allo specifico scopo). L’ICO raccomanda ai datori di lavoro di non conservare i dati sanitari legati al COVID-19 più a lungo del necessario.
  • Tempistiche – i datori di lavoro dovrebbero valutare se il test dovrà essere effettuato fuori dall’orario di lavoro. Se infatti il tampone richiede pochi minuti, per completare la procedura e in particolare per avere i risultati bisogna aspettare fino a 30 minuti.
  • Policies– in alcuni casi sarà necessario introdurre una Policy specifica per i test eseguiti nei luoghi di lavoro, che ne disciplinino anche le modalità. Essa dovrà contenere anche delle disposizioni sulla protezione dei dati, il modo in cui vengono trattati i casi positivi, la frequenza con cui devono essere eseguiti i test e gli obblighi degli eventuali dipendenti in furlough (in particolare per quelli che sono in part-time furlough). È importante che i datori di lavoro non credano erroneamente che la previsione di test all’interno dell’azienda li esoneri dall’adozione di tutte le altre misure necessarie a prevenire la diffusione del Covid all’interno del luogo di lavoro. Infatti, anche laddove non vi siano lavoratori positivi al Covid, le aziende sono comune tenute a garantire l’uso di mascherine, il rispetto del distanziamento sociale e il lavaggio delle mani.

Quanto all’obbligo del vaccino, sia il Public Health (control of Disease) Act del 1984 che il Coronavirus Act 2020 riconoscono il potere in capo al governo di adottare tutte le misure necessarie a prevenire la diffusione di malattie infettive, ma la legge non prevede alcun obbligo di sottoporre i cittadini né a cure mediche né a vaccinazioni. Pertanto, i datori di lavoro non possono obbligare i lavoratori a vaccinarsi né adottare politiche che possano essere intrepretate come un tentativo di introdurre un programma di vaccinazione obbligatoria. Non è escluso tuttavia che la situazione potrebbe cambiare, considerato che il governo sta valutando di introdurre la vaccinazione obbligatoria per alcuni settori, in particolare quello assistenziale, dove i lavoratori sono a contatto con persone vulnerabili. È comunque sempre opportuno discutere con i propri dipendenti, i quali dovrebbero essere costantemente informati e incoraggiati a vaccinarsi. Inoltre, come già ricordato i datori di lavoro devono continuare a porre in essere tutte le misure necessarie a prevenire i contagi, anche quando i lavoratori abbiamo già ricevuto il vaccino.

Rendere obbligatoria la vaccinazione sui luoghi di lavoro potrebbe avere anche delle conseguenze negative, in particolare licenziamenti discriminatori. Si tenga infatti conto che la fascia di popolazione più giovane non ha ancora ricevuto il vaccino; invece per altra parte il vaccino è stato addirittura sconsigliato dai medici. Qualsiasi programma di vaccinazione obbligatoria, che non tenga conto anche di chi non può sottoporsi al vaccino, impedirebbe a questi di lavorare a fianco di altri colleghi, creando problemi organizzativi e/o atti discriminatori.

Tuttavia, in alcuni settori i datori di lavoro possono anche ragionevolmente introdurre un obbligo vaccinale e prevedere il licenziamento per chi si rifiuta. In questi casi il licenziamento potrà avvenire per cattiva condotta o per qualche altro motivo sostanziale (SOSR).

Affinché un licenziamento per cattiva condotta sia però legittimo, un datore di lavoro dovrà dar prova non solo della necessità di introdurre un programma di vaccinazione obbligatoria, ma anche che il dipendente non ha seguito le indicazioni fornire per sottoporsi al vaccino. Il tribunale chiamato a decidere sulla legittimità o meno del licenziamento deve infatti considerare una serie di fattori, ad esempio perché il programma è stato introdotto, se il dipendente è stato consultato, perché il dipendente ha rifiutato, se erano possibili accordi di lavoro alternativi. Al momento, non essendovi alcun obbligo di legge è molto probabile che i tribunali ritengano che in simili casi i licenziamenti siano legittimi. Diverso potrebbe essere il caso in cui la mancata vaccinazione dei dipendenti incida in negativo sull’attività economica. Ad esempio, si consideri il caso in cui il datore di lavoro subisca pressioni da un cliente intenzionato a interfacciarsi solo con personale vaccinato, o quando è a rischio la reputazione dell’imprenditore, o ancora quando la mancata vaccinazione crei problemi per la fornitura di servizi o per la produzione di beni.

Qualsiasi datore di lavoro che intenda intraprendere la strada della vaccinazione obbligatoria dovrebbe discuterne in anticipo con i propri dipendenti e con qualsiasi sindacato riconosciuto o organo consultivo.

Redazione